… e se il grano fosse in estinzione? Ci pensano gli agricoltori “Custodi”… ed è per questo che abbiamo incontrato Mario Montalbini, il custode del Grano Ottofile
Come nasce l’idea di coltivare questo grano?
L’idea è nata nell’ormai lontano 2004, al termine di un Consiglio Comunale. Parlando con altri Consiglieri del nostro territorio e dei prodotti di qualità che da sempre esprime, si pensò di lavorare a un prodotto legato alle nostre radici che potesse favorire anche la promozione del territorio stesso.
Una scommessa vinta?
Direi di sì, dal momento che oggi spesso si parla di Acervia più per questo mais che per tante altre sue bellezze e particolarità!
Ma torniamo un attimo al 2004. Come si è arrivati all’idea del mais?
Uno dei consiglieri più anziani disse di ricordare uno strano mais che da ragazzino aveva visto nei campi del nostro territorio e che da decenni non si vedeva più, un mais bello alla vista e molto buono da mangiare, in particolar modo per realizzare polente delicate e profumate. Ci siamo messi al lavoro e ho avuto la fortuna di ritrovare dei semi; poi ho avuto il coraggio e l’incoscienza di provare a coltivarlo, nonostante lo scetticismo di molte persone.
Qual è stato il risultato?
In questo percorso ho avuto la fortuna di collaborare col professor Papa della Facoltà di Agraria dell’Università Politecnica delle Marche. Abbiamo così fatto delle selezioni e messo in purezza questa antica coltura che abbiamo chiamato “Mays Ottofile di Roccacontrada”: Ottofile perché le cariossidi si dispongono in maniera binaria sulla spiga formando otto file, mentre Roccacontrada è l’antico nome di Arcevia, la città nella quale per tanti secoli questo mais è stato coltivato.
Ogni prodotto ha alle sue spalle una storia. Cosa racconta il suo?
Da ricerche e testimonianze che abbiamo recuperato, sembra che questa tipologia di mais sia giunta nel territorio prima del 1.700, probabilmente come omaggio per il Papa. Deve sapere che il legame tra lo Stato Pontificio e le Marche è sempre stato molto stretto, dal momento che i marchigiani erano gli esattori delle tasse per conto del Papa; non a caso, i nostri amici umbri dicevano: “Meglio un morto in casa che un marchigiano alla porta!”. Da qui, insomma, dovrebbe essere partita la grande tradizione della polenta nella nostra Regione. Negli anni ’50 poi, con l’arrivo dei nuovi ibridi molto più produttivi ma meno saporiti e poco organolettici, questo antico mais fu abbandonato, in un mondo dove si è pensato soprattutto alla quantità a discapito della qualità.
Cosa richiede questo tipo di coltivazione?
La coltivazione richiede molta attenzione, a partire dalla selezione dei semi che faccio personalmente ogni primavera: semi che prendo dalle piante più vigorose, con i chicchi dalle spighe che a mio avviso danno il meglio coltivate sui miei terreni, adagiati su queste fertili colline che godono di un particolare microclima. Si possono seminare non più di 5-6 piante ogni metro quadrato, ad un certo punto di accrescimento è necessaria una sarchiatura (e a seconda della stagione, alle volte anche di una seconda), senza dimenticare la grande attenzione ai parassiti, alla raccolta al momento giusto, all’essiccazione e alla pulitura.
Cosa ci si può produrre?
Con questo Mays si possono produrre diverse cose, innanzi tutto la polenta, che recentemente ha vinto anche una disfida internazionale. Come scrisse il famoso regista Ermanno Olmi all’allora presidente della Pro Loco di Arcevia Alfiero Verdini, che gli spedì un sacchetto di questa farina, “una polenta tra le più gustose e saporite che si possano ancora trovare tra le ormai rare sopravvissute alla devastazione di una modernità male utilizzata”. Inoltre si possono fare biscotti, oppure il pane, ma anche pizza, la birra e le panature; negli ultimi anni trasformo questo Mays in gallette profumate e croccanti con una consistenza ineguagliabile: presentate a Milano Expo 2015, sono state “tacciate” come le più buone d’Italia.
Qual è stato il suo percorso legato alla terra?
Sono da sempre legato alla terra, sono nato in campagna da genitori contadini e anche se ho svolto altri lavori non l’ho mai abbandonata. Ormai da molti anni faccio il contadino a tempo pieno, con passione e – spero – competenza. Dopo la riscoperta di questo Mays sono anche “mastro polentaro”: avendo recuperato diversi antichi paioli in rame (noti ad Arcevia con il nome di caldari) sempre più spesso mi chiamano a cucinare questa specialità a matrimoni, feste private e sagre paesane; ma anche con le istituzioni a fare degustazioni in ogni dove, occasioni dove poter presentare questa antica ricetta insieme alle bellezze del nostro territorio.