Mesciu Cicciu: uno, nessuno e centomila Dalla libera docenza universitaria in Storia Sociale dei Media alla cazzuola del muratore: un incontro entusiasmante, profondo e vero con Mesciu Cicciu Danieli.

Mesciu Cicciu: uno, nessuno e centomila

Dalla libera docenza universitaria in Storia Sociale dei Media alla cazzuola del muratore: un incontro entusiasmante, profondo e vero con Mesciu Cicciu Danieli.

Quanta Galatone c’è nel tuo percorso umano? Perché e come? Raccontamela.

Nel mio percorso umano, culturale, professionale – perché no – anche spirituale c’è Galatone a 360°. È la Galatone della storia, delle opere d’arte, della religiosità popolare appresa mano nella mano con mio papà Gaetano, fin da bambino. Un vero uomo di cultura, per quarant’anni professore di Lettere, che ha saputo far innamorare me e molti suoi alunni della Bellezza del territorio salentino e di Galatone nella fattispecie. Ho lasciato la mia città a tredici anni e vi ho fatto ritorno in maniera stabile a ventinove. Un lasso di tempo che mi ha consentito di aprire gli orizzonti – soprattutto grazie all’esperienza di studio della Storia e dell’Archeologia a Roma – e di liberarmi da riduttive visioni campanilistiche. Ma allo stesso tempo per rendermi conto di come la macrostoria sia la somma di ciascuna storia minore e di come la storia dell’arte universale sia un compendio di quella locale.

Trent’anni fa come lo immaginavi il tuo percorso professionale e umano?

Trent’anni fa non avevo neppure dieci anni e in me albergavano poche idee, ma ben confuse. Amavo molto la manualità dei mestieri antichi, passavo ore a rubare ogni singolo gesto dei vecchi artigiani, ma ero quasi sicuro di voler entrare in seminario per diventare prete. E in effetti, a venticinque anni, avrei raggiunto l’obiettivo. Per poi sentirmi stretto, non tanto nell’amatissima veste talare che avevo indossato fin dalla prima adolescenza, quanto piuttosto nell’obbedienza cieca verso qualcuno più fesso di me. Non un peccato di tracotanza, piuttosto un desiderio di libertà che solo la maturità mi avrebbe consentito di realizzare, contro ogni sicurezza e comodità.

Uomo di cultura, uomo di fatica, figlio, padre e marito. Come si incontrano in te tutti questi Mesciu Cicciu?

Per dirla con Pirandello, ognuno di noi è “uno, nessuno e centomila”. Come ogni umano, in me si condensa un’armonia di opposti, quanto meno un concentrato di sfumature. Cerco di pacificare quotidianamente i tanti Ciccio che abitano i me (sarà per questo che la mia mole è considerevole!), infondendo cultura nell’attività manuale che mi fa portare il pane a casa e rimanendo terra terra quando – svestiti gli abiti di fatica – mi ritrovo in cattedra all’Università o in giacca e cravatta a tenere una conferenza internazionale. Onoro più che posso mio padre e mia madre, mie radici adorate, innanzitutto con l’esserci per loro. Mentre supero gli insuccessi che cadenzano il cammino e gioisco dei traguardi raggiunti perché ogni mio pensiero, impegno e aspirazione sono rivolti a mia moglie Anna Rita e ai miei figli, Filippo e Angelo.

Quando parli della tua impresa, la definisci meridionale, come se fosse una caratteristica… quali sono i caratteri meridionali che ha la tua impresa?

Una piccola impresa meridionale. È il titolo di un bel film del 2013 di Rocco Papaleo. Sud è il prefisso di sudore. Da sempre, al di là di luoghi comuni e proclami politici, a Mezzogiorno si è guadagnato da mangiare col sudore della fronte. Sole, mare, vento, terra e pietre. Credo siano gli elementi caratteristici della mia terra e quindi della mia impresa edile. Piccola, perché siamo “solo” in tre a lavorarci. Impresa, perché Dio solo sa quanto sia arduo andare avanti. Meridionale, perché fortemente ancorata all’identità del mio popolo.

Tra l’Italia che soccombeva alla politica di Monti e quella di oggi, che salto si è fatto?

Chi ha voglia di lavorare non si aggrappa a scuse, non cerca capri espiatori e disdegna le scorciatoie. Un’impresa avviata sotto l’austerity del governo Monti credo abbia gli anticorpi per cavarsela perfino ai tempi del Covid-19. Certo, non riuscirò mai a comprendere la logica di chi ha ideato il reddito di cittadinanza, che in buona parte ha canonizzato, stipendiandolo, il dolce far nulla di molti fancazzisti. Gli stessi che trovo alle 6 di mattina seduti allo scalino di casa con la birra in mano quando esco per andare al lavoro e che ritrovo allo stesso modo alle 7 di sera quando mi ritiro. Gli stessi che – più per sfottò che per premura – mi consigliano di non lavorare troppo, ché non ne vale la pena.

Le volte in muratura… cosa sono, come si fanno… spiegamele.

Da sole non si fanno, bisogna saperle costruire. Occorre innanzitutto un’elevata conoscenza delle forze di carico e di spinta. Si devono assecondare le caratteristiche dei materiali da impiegare: il tufo salentino, il carparo, la pietra leccese. Tutte calcareniti risalenti al periodo miocenico, estratte nelle numerose cave di Terra d’Otranto. E poi bisogna essere maestri nel sagomare i pezzi, rigorosamente a mano, uno per uno, con gli strumenti antichi: la serra, la mannàra, la chiànula, lo squadretto. Vuoi mettere un’opera realizzata interamente alla vecchia maniera, la bellezza delle sue imperfezioni, con la fredda geometria di pezzi squadrati in quattro e quattr’otto con l’ausilio di mezzi meccanici? Ancora, bisogna applicare nella realizzazione delle volte leccesi in muratura i trucchi, le regole, le “malizie” che già i romani fecero propri, impiegando l’arco quale elemento principe delle loro architetture. Le stesse regole impiegate dai maestri medievali, con tutte le varianti del caso, nella costruzione delle volte a crociera nelle cattedrali gotiche.

Sei un romantico. Si evince da ciò che scrivi nei social. Raccontaci il tuo amore.

Sono un inguaribile romantico, molto con i piedi per terra. Credo più al voler bene che all’amore. Verso la mia compagna di vita, verso i figli, verso il lavoro. Verso me stesso, forse. Perché l’amore si affievolisce, spesso, insieme all’entusiasmo degli inizi, della novità. Il voler bene no. È superiore all’amore, perché è per sempre. Si prende cura a lunga scadenza. È nella salute e nella malattia, nella prosperità e nella miseria. Neppure la morte lo può spezzare. In un mondo di “I love you” senza misura e senza cognizione, io preferisco voler bene.

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